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“LA POTENZA DELL’IMMAGINE NELLE LOTTE POLITICHE E SOCIALI”

Inviato da Angelo Orientale il

Organizzata dall’Associazione Memoria in Movimento presso il circolo Mumble Rumble, via Loria 35 Salerno, lunedi 10 dicembre alle ore 17,30 verrà inaugurata la mostra fotografica di Gio Palazzo.

Gio Palazzo è un ex operaio torinese con la passione della foto. Con i suoi scatti sono stati pubblicati vari libri anche da organismi internazionali. 

Un’ala intera del MUSEO DE LA PALAPRA Y LA IMAGEN del Salvador (Museo nazionale della parola e dell’immagine) è dedicata esclusivamente alle sue foto. 

La mostra, che sarà possibile visitare dalle 17,30 alle 20,00 fino al 17 dicembre, è divisa in tre sezioni. Internazionale, Lotte operaie, dei Movimenti

Il giorno 17 dicembre alle ore 17,30 si svolgerà un dibattito su “LA POTENZA DELL’IMMAGINE NELLE LOTTE POLITICHE E SOCIALI”. Si confronteranno e discuteranno con l’autore Gio Palazzo:

Nello De Luca, Associazione Memoria in Movimento

Paolo Romano, giornalista

Rosa Grillo, docente Unisa, Centro studi americanistici circolo Amerindiano di Salerno

Michele Schiavino, regista

Walter Dipino, Doppiavù  Design.

 

Gio Palazzo, il fotografo degli umili e dei ribelli

Gio Palazzo è nato a Castelluccio Valmaggiore, in provincia di Foggia, ai piedi dell’Irpinia, il 19 gennaio del 1954. Tre anni dopo lo ritroviamo, con la famiglia, su un treno diretto in nord Europa, dove suo padre ha trovato lavoro. Ma il treno si ferma a Brandizzo, vicino a Torino, per una sosta e il caso vuole che lì ci sia lavoro e che lì la famiglia Palazzo si stabilisca. Gio non lo sa, me è diventato ormai uno dei tanti protagonisti dell’epopea dell’immigrazione, che cambierà il volto della classe operaia italiana, della sua storia e del paese intero.

Nel 1965, Gio è un ragazzino, la famiglia si sposta a Mirafiori, il leggendario quartiere operaio della periferia di Torino. Sono gli anni del boom, della Fiat, della crescita industriale del Piemonte, che richiama dal sud centinaia di migliaia di lavoratori. Per lui, il Mirafiori operaio, quello delle lotte, degli immigranti, dei campi che confinano con i cantieri degli edifici popolari in costruzione, degli amici, delle parrocchie “rosse” e dei campi nomadi, diventa patria, luogo di crescita e formazione, sfondo in cui incorniciare i sogni.

E lì nascono anche la coscienza e le scelte politiche. Dalla rivolta operaia di corso Traiano nel 1969 (che Gio vive con un intenso senso di solidarietà, come uno dei tanti abitanti di Mirafiori) alle riunioni del comitato di quartiere alle amicizie con gli studenti del vicino Liceo artistico, si forma il militante operaio. E’ un incontro, quello con la sinistra rivoluzionaria della Quarta Internazionale, che avrà un peso determinante nella sua vita e che orienterà via via le sue scelte professionali e personali. Che Guevara, Hugo Blanco, il Vietnam, la guerriglia in America Latina, non sono mai vissuti come miti distanti ma come una realtà quotidiana, non lontana dal suo quartiere e dalle sue fabbriche.

E negli intensi anni settanta torinesi si sviluppa anche l’altra grande passione di Gio: la fotografia. Nel 1970, con i pochi soldi che ha in tasca, si compra un pacchetto-promozione con una Kodak Instamatic e quattro rullini. Da lì ha inizio l’avventura, insieme a un amico che possiede una rudimentale camera oscura. Fotografa le strade e la gente di Mirafiori, gli amici, gli operai, gli studenti. Dotato di una sensibilità non comune, non segue scuole né lavora con attrezzature sofisticate: nel ’71 compra la prima Reflex, una Zenit E, poi nel ’73 una Konika e solo nell’80 una mitica Nikon F2, la macchina dei fotoreporter dei film di guerra. A quella si devono gli straordinari servizi fotografici sull’America centrale degli anni ’80.

Ma prima della guerriglia in Salvador e in Nicaragua, Gio fotografa -da “dentro”- la lotta dei 35 giorni alla Fiat nell’autunno dell’ottanta. Fotografo già maturo, quegli scatti in bianco e nero non testimoniano solo la dura e indimenticabile lotta degli operai della Fiat per difendere i loro posti di lavoro ma anche il modo particolare di fare fotografia di Gio, che riproporrà e svilupperà negli anni dall’America Latina all’Africa a tutti i luoghi del mondo che sono entrati nel mirino della sua Nikon.

A partire dal 1980, quando scoppia la guerra civile in Salvador, Gio è lì per documentare il conflitto. Mentre gli altri reporter se ne stanno in hotel e fotografano il “politically correct”, Gio va su e giù per la città, per i quartieri degli insorti, nelle chiese dei poveri, nella campagna messa a ferro e fuoco dall’esercito. Si appoggia sui contatti che ha all’interno della guerriglia, fra i sacerdoti che lottano a fianco degli umili (e che pagheranno un prezzo molto alto), addirittura arriva -con credenziali false- a fotografare dall’interno le operazioni militari dell’esercito salvadoregno. E’ attivo in America centrale per tutta la decada degli ottanta, rischiando la pelle più di una volta. Oggi le sue foto sono famose, da quelle parti; stanno nei musei della memoria, sono nei libri di storia…

Negli anni novanta la De Agostini gli chiede una serie di collaborazioni in Italia e nei Caraibi. E poi, a partire dai primi anni del nuovo secolo, la collaborazione più stabile con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite in una serie di progetti che lo porteranno soprattutto in Africa e un’altra volta in Centroamerica. Nel marzo del 2020, la rivista Fotografare gli ha dedicato la sezione portfolio.

Gio è un fotografo militante, anzi, al contrario. E’ un militante che ha fatto della fotografia il suo mezzo d’espressione, la sua forma di denunciare, di raccontare, di riflettere e far riflettere. E’ sempre stato un operaio che fotografa altri operai, altri proletari, altra gente che lotta, soffre, vive, ride e muore. Non ha mai voluto lavorare per agenzie o testate, diventare un mercenario: ha sempre cantato fuori dal coro, ha prodotto le immagini più importanti a livello internazionale sulla guerra in Salvador andandoci durante le ferie. Questo lo dice tutto. 

In una recente intervista, parlando delle sue foto alla Fiat durante i 35 giorni, ha affermato: “…puoi stare da una parte o dall’altra ma devi sapere cos’è successo, altrimenti non c’è più nulla, tutto si cancella. Trasmettere la memoria: questo è uno dei grandi problemi del nostro tempo…”

E le sue foto non solo ci trasmettono prepotentemente la memoria storica delle lotte, delle epopee popolari, dei momenti cruciali della nostra storia recente ma ci restituiscono anche le donne e gli uomini che ne furono protagonisti, la loro disperazione, il loro sorriso, la loro determinazione, la loro vita straordinaria.

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